di Giacomo Canciani
Nel weekend del 21 e 22 maggio ho partecipato al 4° convegno internazionale SOS Proteus, che si è svolto nel Museo di Storia Naturale di Trieste, organizzato da Società Adriatica di Speleologia, Speleovivarium, Museo di Storia Naturale di Trieste e Tular Cave Laboratory. Grandi complimenti a Edi Mauri e a tutta la SAS per il super lavoro!
Il convegno si è svolto in occasione del 260° anniversario della descrizione della specie Proteus anguinus da parte di Scopoli nel maggio 1762 e ha avuto come tema principale la conservazione del proteo e del suo habitat alla luce delle nuove sfide dovute ai cambiamenti climatici. Erano presenti studiosi provenienti da almeno 5 stati (Italia, Slovenia, Croazia, Ungheria e Germania), tra cui i massimi esperti mondiali sulla specie, che hanno presentato le loro ultimissime ricerche. Data la presenza di studiosi di diversi Paesi, tutti gli interventi sono stati presentati in lingua inglese. È stata l’occasione per fare il punto sullo “stato dell’arte” della ricerca scientifica su questo straordinario anfibio stigobio (cioè abitante le acque sotterranee), che vive nella penisola balcanica dal nostro Carso fino alla Bosnia.
Non sono mancati i momenti conviviali durante gli immancabili coffee break e le pause per il pranzo, tutto offerto dagli organizzatori a cui va un super ringraziamento. Il convegno si è concluso con la visita alla Grotta Gigante, che ho potuto nuovamente ammirare dopo quasi 10 anni in cui non ci andavo.
Tornando agli interventi, uno dei più interessanti per me è stato quello dei ricercatori del SubBio Lab di Lubiana sulla variabilità genetica del proteo. Oggi sappiamo che esiste una sola specie di proteo (Proteus anguinus), divisa in due sottospecie: il proteo “bianco” (Proteus anguinus anguinus) e il proteo nero (Proteus anguinus parkelj), descritto da Sket e Arntzen nel 1994, che vive in una piccolissima area della Carniola Bianca (sud-est della Slovenia). Le ultime ricerche molecolari mostrano però grandi differenze nel DNA tra le popolazioni di proteo che vivono in aree diverse. Sulla base di queste differenze genetiche, è possibile che in futuro la specie Proteus anguinus venga suddivisa in almeno 7 gruppi tassonomici (specie o sottospecie) diversi! Si tratterebbe di una vera e propria rivoluzione nello studio di questo animale, che comporterebbe modifiche di status non solo dal punto di vista biologico, ma anche giuridico (si tratterebbe di tutelare non solo una singola specie protetta, bensì 7!).
Se ciò dovesse accadere, per ogni nuova (sotto)specie dovrà essere scelta una località di riferimento, quello che in biologia è chiamato locus typicus. A questo punto una domanda mi sorge spontanea: quale dovrebbe essere il locus typicus del proteo “italiano”? La risposta più ovvia può sembrare l’Abisso di Trebiciano o qualche altra grotta sul Timavo. A mio avviso, però, sarebbe più corretto indicare il Pozzo dei Frari di Gradisca, dove Berini nel suo “Indagine sullo stato del Timavo e delle sue adjacenze al principio dell’era cristiana” segnalava la presenza del proteo già nel 1826!